Le origini del dialetto emiliano
Le origini del dialetto emiliano
10 Ottobre 2009 amministratore

Le origini del dialetto emiliano

Lenizione: processo linguistico secondo il quale le consonanti sorde, poste tra due vocali, divengono sonore, e quelle sonore spiranti.

L'aera dialettale emiliana è più ampia della regione, estendendosi, ad occidente, fino Pavia (Lombardia) e Voghera (Liguria), e ad oriente fino a Carrara (Toscana), comprendendo anche una parte della provincia di Firenze. Appartenendo anche l'emiliano al ceppo gallo-italico, le sue frontiere con il ligure, il piemontese ed il lombardo sono meno nette di quelle con il toscano o il marchigiano.

La dominazione gallica è stata importante e duratura in tutto il nord Italia, così da rendere le frontiere dialettali tra regioni alquanto labili, ma non totalmente unitarie. La nuova influenza gallica ha dunque influenzato il latino dell'Emilia Romagna, ma in una forma distinta dalla Toscana e dal Veneto, così la parola notte, in toscana "notte", in Romagna è "not", ma in Veneto "note", con la ricomparsa della vocale finale.

Un carattere distintivo dell'emiliano è il passaggio della vocale "a" in "ä", fattore non presente in Lombardia, e presente in maniera traslata solo in Piemonte, così sale a Parma diviene "säl". Il fenomeno è dovuto probabilmente ad una maggiore influenza gallica nella Romagna, rispetto al Piemonte, la Lombardia e l'Emilia occidentale.

Un altro elemento importante che ha portato alla distinzione delle parlate emiliana e romagnola, fu certamente la presenza longobarda nella zona circostante Ravenna; la sostanziale avversità dell'esarcato per la toscana ha, inoltre, influenzato le distinzioni tra le lingue delle due regioni.

All'interno dell'Emilia Romagna si è inoltre creata, nel tempo, una frontiera di fatto, marcata dal fiume Panaro, tra Modena e Bologna, così alcuni fonemi compaiono solo al di là o al di qua del fiume. Come il suono "ü", presente solo in Emilia, fino al Taro.

La stessa sorte ha toccato anche altre vocali, che sono pronunciate da una parte chiuse e dall'altra aperte, così la parola "novo", dal latino "novum", in Emilia, ad ovest del Taro, diviene "nöf", mentre nel resto della regione ha la "o chiusa"; lo stesso vale per "öf", e "uovo".

Inoltre, mentre nella parte occidentale della regione la pronuncia di alcune parole, come "fiore", rispecchia quella latina, nelle zone orientali le vocali si dittongano, divenedo ad esempio "fiaur". La "e" aperta latina, poi, si dittonga in "ie", così "dés" diviene "dis".

La caduta dell'accento detrrmina inoltre una sorta di effetto distruttivo sulle vocali, dando luogo a parole come "stmana" per "settimana"; "pcà" per "peccato"; "sbdal" per "ospedale"; "mdor" per "mietitore"; etc. Viene quindi facilitata l'eliminazione delle vocali senza accento. Questo processo, più presente in Romagna, compare in parte minore anche in Emilia.

In questa zona, come in quasi tutte le regioni italiane, si assiste anche alla caduta della vocale finale, con il cambiamento, nel plurale, della vocale precedente (metafonia), così "agnèl" (agnello), al plurale diventa "agnì", e "martèl" (martello), "martì".

Per quel che riguarda le consonanti, non si trovano in questa regione mutamenti molto diversi da quelli caratteristici delle regioni circostanti (Piemonte, Liguria e Lombardia), notiamo processi lenitivi, come nel passaggio di rapa in "räva" e "ortiga" per ortica; assimilazioni come "fat" per fatto e assibilazioni, come "zento" per cento.

 

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